domenica 29 settembre 2013

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C


Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

+ Dal Vangelo secondo Luca Santi di oggi

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Parola del Signore

Omelia

La liturgia della parola ci fa riflettere sulla vita di due personaggi, la Bibbia di Gerusalemme presenta la parabola di oggi con il titolo, “Il ricco cattivo e povero Lazzaro”. E come domenica scorsa anche oggi Dio denuncia la ricchezza che non ha a cuore il bene dei poveri. Il ricco senza nome mentre in vita pensava solo a godersela, a lui non mancava nulla! Non pensava forse quasi mai della sua vita futura, la vita dopo la vita, perché essa non finisce nella tomba; come alcuni pensano e credono oggi. L'altro personaggio è il povero Lazzaro, il cui nome ha un’origine ebraica e significa “colui che è assistito da Dio”. Il povero Lazzaro affamato in terra aveva come compagno un cane che gli leccava le ferite e lui desiderava cibarsi delle briciole che cadono dalla tavola del ricco Epulone; ma anche questo desiderio non viene realizzato. Uno studio della parabola non ci rivela, dove il ricco ha sbagliato per cui si trova nell'inferno ma una lettura cristiana della parabola ci fa intuire che il riccone ha peccato di omissione e di mancanza di carità. Noi tutti pecchiamo di omissione e chi si confessa di questo peccato. E la carità? Ci amiamo con cuore sincero?
E' un ammonimento la parabola odierna, perché “la nostra condotta di oggi ha un peso determinante sul domani, sul futuro dell'aldilà. Il rapporto dell'uomo con i suoi simili ha un riflesso con il suo essere definitivo, nell'altra vita, con Dio”, come commenta qualcuno. Gesù ci stimola oggi a fare della nostra vita un servizio di carità verso altri che hanno bisogno. “Quando avevo fame; mi hai dato da mangiare...qualunque cosa che avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli l'avete fatto a me”, disse Gesù, concludendo il Suo discorso sulla carità Gesù disse “venite benedetti del padre mio prendete il regno preparato per voi”.
“Chi ama il fratello bisognoso prenderà il possesso del regno di Dio”.
Più volte abbiamo sentito in questa parabola “tormenti” e “fiamma”. Per il ricco non
C’è più la possibilità di essere salvato. Per lui è troppo tardi! “Tra noi e voi è
stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. Allora l'inferno, questo luogo di tormento è un posto di non ritorno. Chi si trova già là non può tornare sulla terra ne'avrà la seconda chance. Non si può passare dall'infermo al paradiso. “Per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio”(Ebrei 9,27) rendersi conto
degli errori suoi, non gli è servito a nulla perché ormai per il ricco è tardi. Non ci si pente oltre la tomba, bisogna farlo prima della morte. Quando? Ora! “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!”( 2 Cor 6,2).
Al vedere che non c’è più nulla da fare per salvarlo, il ricco che si vestiva di porpora e di bisso e tutti giorni banchettava lautamente chiese ad Abramo di mandare Lazzaro a casa sua per ammonire i suoi fratelli perché anche essi non finiscono male nell'inferno come lui, ma non gli viene concessa la sua richiesta. Lo disse Abramo, “hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”. Anche noi abbiamo la chiesa, l'annuncio della parola di Dio, che ci indicano la via della salvezza.
Qualcuno mi diceva una volta “padre sono credente,” e nel discorso con lui mi disse che dopo la morte non rimane niente. Quindi intendeva a dire che per lui la vita finisce nella tomba. Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni di voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato!  Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se, infatti, i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.( 1 Cor 15,12-19) Gesù con questa parabola ci dice chiaramente che esiste la ricompensa dei giusti e degli empi.




lunedì 23 settembre 2013

Festeggiamenti in onore della Madonna del Soccorso

Parrocchia S. Maria Assunta in Cielo
Canale Monterano

Festeggiamenti in onore della Madonna del Soccorso
a cura del comitato 1988



VENERDI’ 27 SETTEMBRE

Ore 21:00 Spettacolo Teatrale “IO SONO FILUMENA MARTURANO” Compagnia Partenope Presso il teatro comunale      

SABATO 28 SETTEMBRE

Ore 16:00 Giochi e animazione per bambini (Piazza Tubingen)
Ore 16:30 Gara di Briscola giardini comunali (iscrizione da Ilary Bar)
Ore 18:00 Messa vespertina della festa
Ore 18:45 Gara del dolce giardini pubblici (iscrizioni ore 17:00 sul posto)
Ore 21:0 Concerto in Chiesa eseguito dal coro “LA SETTIMA NOTA”
Ore 22:00 Spettacolo musicale “MEZZI DIVINI” presso pub MANTURNA

DOMENICA 29 SETTEMBRE  

Ore 8:00/11:00/18:00 S.S. Messe – giorno solenne della festa
Ore 10:30 Apertura stand “2° Mostra dell’artigianato femminile” Corso della Repubblica
Ore 16:30 Spettacolo musicale “THE DRINKERS BAND” Piazza Tubingen
Ore 18:00 S. Messa presentazione nuovi membri della Confraternita
Ore 19:00 Solenne processione per le vie del paese con la partecipazione della Banda di Castel Giuliano Bracciano
Ore 20:30 Spettacolo pirotecnico




domenica 22 settembre 2013

A TUTTI I BAMBINI E I LORO GENITORI

DOMENICA 6 OTTOBRE ALLE ORE 10:00 
VI ASPETTIAMO IN CHIESA
PER IL NUOVO ANNO CATECHISTICO

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO



Non potete servire Dio e la ricchezza

Dal Vangelo secondo Luca 
Santi di oggi

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Parola del Signore

Omelia

La liturgia di questa domenica ci presenta due realtà da sempre attuali: la povertà e la ricchezza. Per spiegare bene la differenza tra gli esseri umani, che è basata sulla
l’avere /o non avere i beni terreni, mi viene in mente un detto nigeriano, “tutte le dita delle mani non sono uguali”. La Chiesa fin dal tempo di Gesù ha sempre avuto a cuore i poveri perché i essi godono dell'amore preferenziale di Dio, “qualunque cosa che avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli l'avete fatto a me” disse Gesù.
Dio condanna nella prima lettura “la ricchezza disonesta”. Il profeta Amos ci mette in guardia: il denaro non è tutto, provoca la punizione da parte di Dio se è stato guadagnato con disonestà. Dio attraverso il suo servo Amos rimprovera i ricchi che sfruttano e opprimono i poveri e agiscono disonestamente nei loro affari. Questi ricchi del tempo di Amos quindi 750 anni prima della nascita di Gesù erano come quelli di oggi, diventavano più ricchi mentre i poveri più poveri. Addirittura, oltre a usare bilance false, al frodo e allo sfruttamento dei poveri, che compravano, al valore dei sandali. In questo clima Dio giura, “certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere”.  Oggi Dio denuncia la ricchezza disonesta che ha provocato la crisi economica di oggi che la conseguenza dei furti di tanti anni nel mondo finanziario che ha creato tanti nuovi poveri. La Chiesa insegna la restituzione delle cose altrui presi ingiustamente e modo disonesto. Dio chiama al pentimento chi a rubato, ma il segno della conversione è la confessione e la restituzione. Un esempio classico e biblico che ci indica cosa fare è la storia di Zaccheo capo dei pubblicani e ricco. Al suo incontro con Gesù “Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo;il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.(Lc 19, 8-10)
La liturgia oggi ci ammonisce contro l'attaccamento ai beni del mondo. S. Paolo chiama l’avarizia è idolatria (Efesini 5:5) e Papa Francesco nella Santa Messa del 21/09/2013 dice "dall'idolatria del denaro nascono mali come la vanità e l'orgoglio", che fanno male alla società, ha detto Francesco nella sua omelia di questa mattina a Santa Marta, partendo dalle parole di San Paolo sul rapporto "fra la strada di Gesù Cristo e il denaro". C'è qualcosa "nell'atteggiamento di amore verso il denaro - ha osservato - che ci allontana da Dio". Ci sono "tante malattie, tanti peccati", che nascono dall'amore per il denaro. "Gesù - ha detto - su questo sottolinea tanto". Infatti "l'avidità del denaro è la radice di tutti i mali".
"Il denaro ammala anche il pensiero e la fede: ci fa andare per un'altra strada". "Quante parole oziose, discussioni inutili" nascono dalle questioni d' interesse, "da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi". Se scegli "la via del denaro", conclude Papa Bergoglio, "alla fine sarai un corrotto" perché il denaro "ha questa seduzione" capace di "farti scivolare lentamente nella tua perdizione".
Gesù racconta la parabola dell'amministratore disonesta. Un commentatore della bibbia scrisse che “fin dalle origini della tradizione evangelica la parabola dell'amministratore disonesta appare difficile. Si potevano ricavarne applicazioni abusive, come un cattivo uso del denaro. Per evitare ogni falsa applicazione, si sono dunque aggiunte alle parabole, varie sentenze di Gesù sul denaro”. In questa parabola Gesù racconta di un amministratore accusato dal suo padrone di avere sperperato suoi averi ma viene lodato dopo dal padrone suo per la sua intelligenza. Viene lodato non perché disonesta ma perché ha saputo preparasi un futuro quando sarà licenziato dal padrone suo. L'amministratore accolto del pericolo di perdere il suo lavoro “disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Il cristiano é chiamato a sapere entrare in sé per capire come guardarsi la vita beata del paradiso, è un fatto: gli uomini spendono molta iniziativa e intelligenza nei loro affari anche quando questi sono... ingiusti. I credenti, purtroppo, non si danno sempre tanta pena per il Regno. Riconosciamolo! Questa è la lezione da ritenere in questa parabola. Gesu propone l'abilita del truffatore, non la frode o furto.” ( Vangeli, La Civita' Cattolica)
“Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”.  L'avidità del denaro e' idolatria, Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell'inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L'avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti” (1Tim 6,3-10) ammonisce Paolo.
Nel brano evangelico parallelo che non riporta la parabola dell'amministratore in Mt 6,19-33) Gesu disse “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. ”E Gesù continua a dire:non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?...Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena (Mt 6,25,34). Delle volte per le pretese di essere poveri uno acquisisce la ricchezza disonesta, questa può implicare la mancanza di fede nella Divina Provvidenza ed è mettere al primo posto nella propria vita il denaro invece di Dio. Nelle vecchie traduzioni del vangelo la parola "mammona" veniva usata e non la parola ricchezza. Mammona un termine di origine siro-caldaica significa ricchezza, una ricchezza ammucchiata e nascosta, adoperata nell'uso comune per indicare la ricchezza divinizzata ed adorata come idolo.( Giovanni Lardone) E' per la divinizzazione del denaro che Gesù ci ha domandato “quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? ”(Mt 16,26) E Gesu stesso ci consiglia dicendo, "Non vi fate tesori sulla terra, ove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri sconficcano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, ove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non sconficcano né rubano"(Mt 6:19-20), “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”(Mt 6,33).



domenica 15 settembre 2013

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte

Dal Vangelo secondo Luca  Santi di oggi

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Parola del Signore

Omelia

La liturgia oggi ci mostra la giusta ira di Dio e la sua misericordia infinita. La prima lettura che la liturgia ci propone ci fa meditare bene, perché fa vedere due aspetti di Dio che gli uomini di oggi sottovalutano molto: l'ira e la misericordia di Dio.
Nella sacra scrittura l'ira di Dio riferisce allo sdegno che la realtà del peccato suscita agli occhi di Dio. Parlare dell'ira di Dio non implica che il nostro Dio è un Dio malizioso, la sua ira è provocato dall'uomo come vediamo nei seguenti riferimenti biblici: “L'ira del Signore si accese contro Maria e Aronne” per il peccato di mormorazione, (Nm 12,1-10) l'infedeltà del popolo ha provocato l'ira di Dio (Es 32)  Se dunque c'è l'ira di Dio, ciò è perché c'è stato il peccato dell'uomo. Nelle manifestazioni della sua ira Dio non si comporta come un uomo: controlla la sua passione. Dio è "lento all'ira" (Es 34) e la sua misericordia è sempre pronta a manifestarsi come avvenne dopo l'idolatria quando Dio disse a Mosè: “ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori”. E subito dopo la supplica di Mosè, ''il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”.
La misericordia, nella bibbia, traduce il termine ebraico “rahamim”, che esprime tenerezza viscerale materna, affetto profondo del cuore.”(Costante Brovetto) La misericordia fa parte del carattere di Dio. Ed è stata descritta nella bibbia come “ricca”(Ef 2,4) “immensa” (Neh 9,10,11) “grande” (1 Pt 1,3) e “si rinnova ogni mattina”(Lam 3,23). Il salmo 119,64 disse che Tutta la storia della bibbia è una unica storia della manifestazione della misericordia di Dio, una storia di amore di Dio per umanità. Evangelista Luca chiamato l'evangelista della misericordia, ci propone oggi tre le parabole più commoventi sulla misericordia che evidenziano l'amore di Dio, che gioisce per il ritorno dei figli smarriti. Il contesto nella quale Gesù racconta queste tre parabole è nel confronto tra lui  e i Farisei che lo accusano di fermarsi con i peccatori e di mangiare con loro.
La parabola della pecorella smarrita sottolinea la ricerca paziente di Dio per una sola persona smarrita. Il pastore che rappresenta Dio che lascia le novantanove pecore in cerca di una pecora ci fa vedere l'amore di Dio per una sola anima. Dio si preoccupa di ogni uomo perduto nel “mondo” e lasciare le novantanove nel deserto è il grosso rischio che Dio non teme di fare solo per salvare un figlio perduto. In questa parabola è da dire che il pastore è Gesù e noi siamo le pecore, la pecorella smarrita è il peccatore . Lasciare le novantanove “giuste” che non hanno bisogno di perdono mostra quanto vale un uomo negli occhi di Dio e ci indica come Dio svolge lo sguardo su ognuno di noi. In questa parabola noi impariamo che non siamo noi a cercare Dio, perché è più facile sentirsi cercatori di Dio ma in realtà è Dio che cerca l’uomo, è Dio che lo attende con pazienza pazzesca e amore materno. Colpisce il fatto che Dio si commuove di gioia trovando e ricuperando un solo peccatore pentito, questa gioia non è solo di Dio, è anche degl’ angeli i nostri concittadini in cielo.
 La parabola della moneta perduta o smarrita evidenza la preoccupazione di Dio che, con amore infinito si affanna nel ricercare l’anima smarrita.  Questa moneta smarrita e poi ritrovata viene identificata con una dracma, moneta molto diffusa al tempo di Gesù, anche se non di particolare valore, era un piccolo tesoro (come lo è ogni uomo per il suo Creatore). Dall’ attenzione della donna, che spazza e cerca finché non ritrova la dracma, si capisce tutta l’ attenzione di Dio nel confronto di chi si è smarrito nel peccato. Pascal ha scritto: “La misericordia del Signore è più grande del suo giudizio”, un autore ignoto invece scrive “l’uomo deve solo abbandonarsi al suo amore e lasciarsi rigenerare dalla sua grazia”.  
La parabola del figliol prodigo, o meglio la parabola del padre misericordioso come la chiamiamo oggi, dipinge la grandezza del cuore di Dio padre che, con ansia e tanta pazienza,  attende e accoglie a braccia aperte ogni peccatore che si pente e torna sulla retta via. “Questo figlio che abbandona suo padre, sperpera tutto il capitale nei vizi, e si riduce all’estrema miseria e alla fame, poi riflette e torna a casa, è figura del povero peccatore che ritorna al Signore. Quel papà che l’aveva sempre atteso con ansia, che gli corre incontro e lo abbraccia, è figura del Padre celeste che sempre attende, che sempre aspetta il povero peccatore”.
Ogni peccato nasce da un sogno di falsa libertà e di ingannevole felicità come narra la situazione disumana nella quale si era trovato il figlio minore nel paese lontano. Per gli Ebrei i porci sono animali impuri che contaminano e rendono impuri l'uomo, ma il figliol prodigo non solo, pasturava i porci, era anche contento di mangiare le carrube che mangiavano i porci ma nessuno gliene dava. Che miseria! Si era trovato in un paese pagano perché gli Ebrei non hanno a che fare con i porci. La legge proibiva il popolo eletto di mescolarsi con i pagani. Allora si può pensare che questo povero figlio viveva nel peccato assoluto e si affondava nel peccato. In questa circostanza si accorge che è diventato schiavo del peccato e infelice. E disse tra se: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre”. (Lc 15,17-20) Oggi si fanno mille domande su pentimento del figliol prodigo, non sembra che gli dispiace per avere sprecato la ricchezza del padre suo. Non sembra che lui ama il padre, sembra che ama invece il pane del padre suo. Lo accoglie il padre che lo attendeva sempre. Il padre festeggia il ritorno del figlio.
Da notare è gli atteggiamenti dei membri di questa famiglia: il padre invita tutti a gioire per il ritorno del figlio, il figliol prodigo forse la prima volta sente l'amore del padre e il figlio maggiore anche se sta a casa col padre mostra di non avere mai sentito l'amore del padre suo. Disse infatti il figlio maggiore, “ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Si sente servo a casa sua. E' buono ad obbedire gli ordini del padre ma non sente l'amore del padre e non prova amore per il fratello. E il padre uscito fuori gli spiega che “bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.”
Non succede che noi della chiesa ci comportiamo come il figlio maggiore? Non siamo come lui? Alcuni non sentono l'amore di Dio pur stando in chiesa. Non facciamo solo servizi alla parrocchia anche se siamo stati sempre a casa e non abbiamo un rapporto figliale con Dio padre. E per i figli che hanno lasciato la casa (chiesa) e rientrano dopo avere sperimentato l'amore di Padre, li accogliamo? Celebriamo con loro e con Dio, il loro ritorno a casa? Non è per noi una pena, una sofferenza l'amore di Dio che spinge altre a tornare in parrocchia?
La parabola del figliol prodigo, in Luca 15, ne è il meraviglioso quadro. È l'amore che riceve, che accoglie; l'amore perfetto che caccia via la paura scrisse Georges André. Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore. (1 Gn 4,18) Continua Georges André “quanto è importante essere cosciente della grandezza del perdono che ci è stato acquistato, e apprezzare l'immensa grazia che ci ha fatto”.






domenica 8 settembre 2013

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo

+ Dal Vangelo secondo Luca  Santi di oggi

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Parola del Signore

OMELIA

Nella pagina evangelica che la liturgia offre alla nostra meditazione, Gesù elenca tre condizioni importanti per diventare un suo discepolo. Luca ci presenta questi insegnamenti su come diventare veri cristiani. A questo punto Gesù è diventato famoso e la gente lo seguiva. E Lui come al solito prende l'occasione per insegnare loro con franchezza la verità sulla fede cristiana. A Gesù era necessario far capire la gente intorno a Lui che la sequela di Cristo è una scelta di vita e un modo di vivere. Il cristiano è colui che segue la parola di Dio e imita gli esempi di Gesù. Seconda le condizioni per essere cristiani si vede che non c`è una vita cristiana fai da te. Non posso vivere da cristiano a modo mio, perché essere cristiano è una decisione ben meditata e una scuola di vita per cui non c` è una via del mezzo: siamo veri cristiani quando seguiamo le indicazioni che ci ha offerto Gesù.
Ecco la prima condizione per essere cristiano: "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo''. Nel brano parallelo Gesù disse: "Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà''.(Mt 10,37-39) Venire a Gesù vuol dire essere cristiano. E non amare padre, madre, moglie, figli, fratelli e addirittura la propria vita più di Gesù non implica “che da oggi in poi dobbiamo vivere senza amare gli altri, senza provare amore per loro..ma tutto questo deve basarsi su alcune regole che danno a Dio il primo posto nel nostro vivere''(Luigi Ginami) A noi cristiani di questo secolo Gesù ricorda che essere cristiano è una scelta di vita. ''Accettare la fede cristiana e vivere da cristiano oggi ricomincia a essere una scelta difficile perché circondati dai 'nuovi pagani' (cristiani non credenti per cosi dire) nel mondo secolarizzato. Vivere la propria fede in aperto diventa difficile per paura di non essere criticato o per vergogna o per paura degli uomini. Per fino i cristiani veri vengono chiamarti 'fanatici' e come scrisse qualcuno “per i giovani pregare, andare alla messa, confessarsi, essere pulito nel parlare, può significare venire isolato dagli amici.” In questa situazione attuale Gesù in chiarezza e franchezza disse: "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo''.

La seconda condizione per la sequela di Cristo è portare la propria croce ogni giorno dietro a Gesù Cristo. Non esiste una vita cristiana senza la croce. E Gesù non ci ha promesso una vita cristiana senza croce. “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo,” ci dice oggi. Allora Gesù non ci ha promesso una vita bella appena o dopo che accogliamo la fede, ma ci ha promesso sicuramente la salvezza eterna.
La logica della croce è il paradosso cristiano ed è assurdo per il mondo di oggi. La croce è la prova di fede cristiana. Una fede provata, una fede che conosce la sofferenza è una fede matura e fedele e produce frutto di vita eterna. La sacra scrittura è piena degli esempi degli uomini che hanno portato ognuno la propria croce con dignità, con tanto amore, con fiducia e fede non vacilla mai. Un esempio forte di chi ha portato la croce con fede è San Paolo che disse ai Colossesi, “sono lieto delle sofferenze … nella mia carne completo quello che manca ai patimento di Cristo.”(Colossesi 3,24) Portare la croce quindi significa accettare con fede, “quegli avvenimenti voluti o permessi da Dio, che ci fanno violenza, ci umiliano, ci causano dolore e pena e ci mettono alla prova in diversi maniere. Portare la croce significherà quindi entrare nelle intenzioni di Dio, che vede in questi avvenimenti degli strumenti della nostra salvezza; accettare o ricercare queste contrarietà come mezzi per far progredire il regno di Dio in noi e intorno a noi,”(Emilio Spinghetti) Detto questo ci domandiamo oggi se ricorrere a Dio solo e solo nel momento della prova vuol dire anche avere fede in Lui.
La terza condizione per seguire Cristo è la rinuncia. “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”.In quest’ epoca di consumismo, sembra che l'uomo è educato a non rinunciare nulla. In famiglia, nella politica, nella società non si usa mai più la parola rinuncia, la parola rinuncia si usa solamente nell'ambito ecclesiastico. L'uomo odierno se pensa nei termini materiali vuole comprare sempre anche le cose che non servono basta che sono in offerte. Oggi si cerca nuove emozioni forte, e non riesce a controllare la voglia di divertirsi. Oggi l'uomo non sa più come vivere senza rinunciare le nuove forme di tecnologie: al pasto si mangia con il televisore accesso e ogni figlio ha in mano il telefonino e non si prega prima del pasto, non si parla durante il pasto.
Con le due parabole di torre e del re, Gesù ci insegna che bisogna seguire e servire Dio non con leggerezza ma con serietà. Con queste parabole Gesù ci insegna che si prepara la vita cristiana esaminando in anticipo il costo di tale scelta di vita, tenendo conto delle rinunce da fare e le difficoltà che si può avere nella vita cristiana. Abbracciare la vita cristiana senza prima calcolarne il costo oppure senza preparazione porta a scoraggiamento e scredita la testimonianza cristiana e scoraggiando altri.



domenica 1 settembre 2013

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato

+ Dal Vangelo secondo Luca.  Santi di oggi

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Parola del Signore.

Omelia

“Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. In queste parole di Gesù è racchiuso il messaggio della liturgia della parola di oggi. “Il termine umiltà dal latino humus:
terra, indica qualcosa di poca importanza. E umiltà designa la virtù di chi riconosce la propria finitezza di creatura e la propria insufficienza per conseguire la salvezza e redenzione che solo Dio
può dare gratuitamente”. (Cristianesimo, l`enciclopedia) L’umiltà è una virtù da non confondere servilismo e rassegnazione. L`umiltà con cui il credente ha chiamato oggi trova il suo apice nell`abbassamento di Gesù mite e umile di cuore che loda gli umili e ci invita a imparare da Lui. “L’umiltà è il fondamento di tutte le virtù, e nelle anime dove essa non è presente, non vi può essere nessun’altra virtù, se non di pura apparenza. Allo stesso modo, l’umiltà è la disposizione più
propria per ricevere tutti i doni celesti. È tanto necessaria per raggiungere la perfezione, e tra tutte le vie per arrivare alla perfezione la prima è l’umiltà, la seconda è l’umiltà, la terza è l’umiltà”. (Sant’Agostino)
 La superbia è il primo dei vizi capitali. “Era l'orgoglio che ha cambiato gli angeli in diavoli, è l'umiltà che rende gli uomini come angeli”. (sant'Agostino) Gesù parlando della piccolezza evangelica chiese “Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?... E disse: « In verità io vi dico: se... non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli.” (Mt 18,1-4) “L’umiltà è necessaria non solo per acquistare le virtù, ma anche per salvarsi. Poiché la porta del Cielo, come disse Gesù, è tanto stretta che non ammette se non i piccoli. (S. Bernardo) Paolo apostolo consiglia gli Efesini cosi “Non fate nulla per rivalità o vana gloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri.” E continuando parla di Gesù che si è abbassato dicendo: “abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino all'ultimo quando morì in
croce”.(Ef 2,1-8)
Il vangelo ci presenta Gesù a pranzo a casa di uno dei capi dei farisei, dove era osservato dei farisei che cercavano di accusarlo. Gesù pure li osservava e scoprì che si comportavano non secondo la legge di Dio. La parola di Dio disse “ non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: «Sali quassù», piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante”. (Pr 25,6-7) “Compi le tue opere con mitezza ...Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore”. (prima lettura) Gesù accoglie l` occasione per dare insegnamenti importanti: sulla importanza dell` umiltà, perché insegna ad occupare l'ultimo posto. L’umiltà vera si manifesta dunque nell`attività: “Figlio, nella tua attività sii modesto” consiglia il Siracide. E attività significa rapporto con gli altri...(Luigi Ginami) Il secondo insegnamento di Gesù è sulla carità. Gesù chiama a non invitare a pranzo coloro che ci contraccambiano i gesti di amore. “ Qualunque cosa che avete fatto a questi fratelli più piccoli, l`avete fatto a me,” diceva Gesù nella sua predica sulla  carità.
 Alla richiesta della madre dei figli di Zebedeo che ha suscitato l'ira e le polemiche Gesù disse all'undici: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti ( Mt 20,25-28). Mentre Gesù cenava con i suoi, parlavano ancora di chi fosse è il più grande tra loro, Gesù li lavò i piedi e gli disse “Voi mi
chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io, ho fatto a voi”.(Gv 13,13-15) “L’umiltà è la madre di molte virtù, perché da essa nascono l’obbedienza, il timore, il rispetto, la pazienza, la
modestia, la mansuetudine e la pace. Chi è umile obbedisce facilmente a tutti, teme di offendere tutti, mantiene la pace con tutti, si mostra affabile verso tutti,  sta soggetto a tutti, non
offende, né disgusta alcuno, non fa caso alle ingiurie che gli rivolgono, vive allegro e contento ed in una grande pace”.(S. Tommaso da Villanova)

Padre Ethel